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Imprese e sostenibilità: l’impatto della direttiva CSRD sulla reportistica ESG

Obbligo di rendicontazione ESG esteso a più imprese e dati essenziali per rating e competitività
Imprese e sostenibilità: l’impatto della direttiva CSRD sulla reportistica ESG
Tempo di lettura: 5 minuti

Indice dei contenuti

La CSRD segna una nuova era per la reportistica ESG

La CSRD – Corporate Sustainability Reporting Directive (Direttiva 2022/2464) – rappresenta uno spartiacque nella normativa europea sulla rendicontazione aziendale.

Entrata in vigore nell’ambito del Green Deal, la CSRD sostituisce la precedente NFRD (Direttiva 2014/95) e rafforza l’impatto obbligatorio relativo alla rendicontazione in tema di sostenibilità.

Il primo effetto concreto è un ampliamento significativo delle imprese soggette all’obbligo di rendicontazione.

A ciò si aggiunge l’introduzione del principio della doppia materialità e l’aggiornamento degli standard europei da seguire.

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CSRD Direttiva: a chi si applica e quando scatta l’obbligo

Uno degli aspetti più rilevanti della Direttiva CSRD è l’estensione dell’obbligo di rendicontazione a nuove categorie di imprese. Oltre alle grandi aziende già soggette alla normativa precedente, la nuova disciplina coinvolge anche le PMI quotate (ad eccezione delle micro-imprese).

Questo processo avverrà in maniera graduale, attraverso una tempistica differenziata in base alle dimensioni delle aziende coinvolte.

Ecco il calendario di entrata in vigore della Direttiva CSRD, per ciascuna tipologia di azienda interessata, i cui requisiti fanno riferimento all’anno fiscale precedente quello di entrata in vigore:

2025 Imprese già soggette alla NFRD, ovvero imprese quotate, banche, assicurazioni con: – più di 500 dipendenti– stato patrimoniale ≥ 25 milioni di euro– fatturato ≥ 50 milioni di euro
2026 Grandi imprese non quotate con: – almeno 250 dipendenti– stato patrimoniale ≥ 25 milioni di euro– fatturato ≥ 50 milioni di euro;
2027 PMI quotate, piccole banche non complesse e assicurazioni captive
2029 Filiali e succursali di aziende capogruppo extra-UE – con ricavi superiori a 150 milioni di euro nell’UE negli ultimi due esercizi consecutivi – che: – siano soggette alla CSRD– oppure abbiano un fatturato ≥ 40 milioni di euro.

    Attenzione però: con l’approvazione della cosiddetta direttiva “Stop the clock” (Direttiva (UE) 2025/794), parte del Pacchetto Omnibus I voluto dalla Commissione Europea per semplificare alcune norme europee, l’entrata in vigore della direttiva e il rispetto dei suoi obblighi è stato posticipato di due anni per alcune categorie:

    • dal 2026 al 2028 per le grandi imprese
    • dal 2027 al 2029 per le PMI

    Altre proposte di modifica sono in fase di negoziazione e potrebbero incidere ulteriormente su tempi e soglie dimensionali.

    Verso un bilancio integrato e strategico

    Indipendentemente dal calendario, il cambiamento è ormai tracciato e irreversibile: la sostenibilità diventa parte integrante del ciclo di bilancio e non più una voce accessoria o volontaria.

    L’impatto di questa estensione è duplice. Da un lato, accresce la trasparenza complessiva del sistema economico europeo, fornendo dati confrontabili su temi ambientali, sociali e di governance. Dall’altro, implica una trasformazione strutturale per le imprese coinvolte, che dovranno dotarsi di competenze specifiche, sistemi di raccolta dati, processi di monitoraggio e un nuovo approccio alla governance.

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    Environmental, Social e Governance: la doppia materialità cambia la prospettiva

    Uno degli elementi distintivi della Direttiva CSRD è l’introduzione del principio di doppia materialità.

    Le imprese dovranno rendicontare sia l’impatto che esercitano sull’ambiente e sulla società, sia in che modo le questioni ambientali, sociali e di governance influenzano la loro performance economica e i risultati aziendali. Questo approccio supera la visione unidirezionale della sostenibilità, perché obbliga le imprese a misurare il proprio impatto nel mondo e al tempo stesso a valutare i rischi e le opportunità derivanti dal contesto ambientale e sociale in cui operano.

    Inoltre, il concetto di materialità si estende all’intera catena del valore: fornitori, partner, clienti e comunità locali diventano elementi attivi nella costruzione del bilancio ESG. Questo aspetto determina un impatto significativo anche sulle PMI non quotate, formalmente escluse dagli obblighi della direttiva ma coinvolte di fatto. Le grandi imprese, infatti, per rispettare gli standard della CSRD, richiedono sempre più spesso ai propri fornitori dati e certificazioni ESG.

    Questo fenomeno di “effetto a catena” rende la conformità agli standard di sostenibilità una condizione necessaria per restare competitivi e accedere a nuove opportunità di mercato, soprattutto in ambito internazionale e nelle filiere globali.

    È in questo contesto che la CSRD si collega strettamente alla Direttiva CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive) (Direttiva (UE) 2024/1760), recentemente approvata, che impone alle imprese obblighi di due diligence lungo tutta la catena del valore. Le attività di analisi e controllo richieste dalla CSDDD rappresentano una fonte fondamentale per identificare rischi, impatti e dati da includere nella reportistica ESG prevista dalla CSRD.

    Le due direttive, pur avendo scopi distinti, sono complementari e sinergiche nel costruire un modello d’impresa più trasparente e responsabile.

    CSRD Direttiva: nuovi standard, nuovo linguaggio

    Con l’entrata in vigore della CSRD, le imprese non possono più affidarsi a formule generiche o documenti narrativi per dimostrare il proprio impegno nella sostenibilità. La direttiva impone l’adozione di standard tecnici dettagliati, gli European Sustainability Reporting Standards (ESRS), che uniformano la reportistica in tutti i Paesi membri dell’Unione Europea.

    I report devono includere una gamma ampia di informazioni, che vanno dal modello di business alla gestione dei rischi, dalle politiche ESG adottate ai risultati raggiunti, dagli obiettivi futuri alla governance.

    Tutto questo deve essere documentato in un formato elettronico strutturato (XHTML) e marcato con XBRL, per garantire accesso immediato, lettura automatica e comparabilità a livello europeo.

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    Dati ESG e bilancio d’impresa: verso un’unica responsabilità

    Con la CSRD, l’integrazione delle informazioni ESG all’interno della relazione sulla gestione viene rafforzata e resa obbligatoria.

    Già la precedente NFRD prevedeva che le aziende soggette dovessero includere una dichiarazione non finanziaria nella relazione sulla gestione o in un documento separato.

    La nuova direttiva stabilisce invece che le imprese tenute a redigere il bilancio di sostenibilità devono inserire le informazioni ambientali, sociali e di governance direttamente nella relazione sulla gestione, eliminando la possibilità di documenti distinti.

    Questo passaggio sottolinea come le performance ESG non siano meno rilevanti di quelle economico-finanziarie ed evidenzia la connessione sempre più stretta tra questi due ambiti.

    Anche l’introduzione dell’obbligo di revisione esterna dei dati ESG contribuisce a rafforzare questa convergenza, poiché impone standard di attendibilità e verificabilità simili a quelli previsti per i dati contabili.

    Ne deriva una maggiore credibilità del bilancio di sostenibilità, che assume un ruolo cruciale nello stabilire il rating ESG e nel guidare le valutazioni di investitori, istituti finanziari e stakeholder.

    Sanzioni e responsabilità: cosa rischiano le imprese

    Il recepimento della CSRD nell’ordinamento italiano, tramite il D.Lgs. 125/2024, ha introdotto anche un quadro sanzionatorio specifico per le imprese soggette agli obblighi di rendicontazione ESG.

    A essere direttamente coinvolti sono gli amministratori, ai quali spetta la responsabilità di assicurare che le informazioni di sostenibilità siano redatte in modo conforme alla normativa. Non si tratta solo di un adempimento formale, ma di una responsabilità sostanziale, che comporta conseguenze concrete in caso di omissioni o irregolarità.

    Le sanzioni amministrative che le aziende rischiano in caso di violazione degli obblighi previsti dalla direttiva CSRD sono le stesse previste dal Testo Unico della Finanza (TUF) per il mancato rispetto degli obblighi di informativa finanziaria.

    In particolare, le principali sanzioni prevedono:

    • dichiarazione pubblica dell’infrazione e della persona giuridica che l’ha commessa;
    • ordine di eliminazione delle infrazioni contestate;
    • una sanzione pecuniaria amministrativa da 5.000 a 10 milioni di euro, oppure fino al 5% del fatturato annuo dell’impresa, a seconda di quale sia l’importo più elevato.

    Per i primi due anni di applicazione, si applica una disciplina transitoria che prevede sanzioni amministrative calmierate, pari a:

    • 150.000 euro per le violazioni imputabili a soggetti con funzioni gestionali, di controllo o vigilanza;
    • 2,5 milioni di euro per le società che omettono la rendicontazione nella relazione finanziaria annuale.

    Un’analoga limitazione è prevista nei confronti dei revisori della sostenibilità e delle società di revisione (rispettivamente 50.000 euro e 125.000 euro) nel caso di irregolarità nell’attestazione.

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    Oltre la conformità: nuove pressioni e nuove competenze

    L’adozione della CSRD e dei nuovi standard ESG non è solo una questione di compliance.

    Le imprese dovranno affrontare una trasformazione profonda, non solo nei sistemi di reportistica, ma nelle logiche operative e nei ruoli professionali. Cresce la richiesta di figure in grado di raccogliere, interpretare e validare dati ESG; si afferma una domanda trasversale di competenze che incrociano sostenibilità ambientale, finanza, comunicazione e tecnologia.

    Allo stesso tempo, aumenta la pressione da parte di investitori, clienti, fornitori e autorità pubbliche affinché la sostenibilità non resti una dichiarazione d’intenti.

    La capacità di misurare, dimostrare e integrare concretamente i risultati ESG sarà uno dei principali fattori competitivi nei prossimi anni, soprattutto in settori esposti al rischio climatico e alla riconversione energetica.

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