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Come proteggere i dati personali in remote working

Il remote working, ossia l’attività lavorativa svolta fuori ufficio, offre numerosi vantaggi ma richiede anche una particolare attenzione alla protezione dei dati personali e delle risorse aziendali.
Come proteggere i dati personali in remote working
Tempo di lettura: 4 minuti

Indice dei contenuti

Che cos’è il remote working?

Negli ultimi anni, anche a causa dell’emergenza sanitaria, abbiamo assistito a un cambiamento di paradigma culturale di ciò che la società considera un luogo di lavoro e sempre più aziende hanno implementato pratiche di remote working, in italiano “lavoro da remoto” o “lavoro a distanza”.

Il remote working, complici gli investimenti nel campo della trasformazione digitale, è diventata la modalità di lavoro preferita da molti professionisti, in quanto consente loro di essere flessibili e di avere maggiore autonomia. Il lavoro da remoto, infatti, consente al dipendente di lavorare in una sede diversa dall’ufficio tradizionale – generalmente da casa, ma anche da un coworking oppure da qualsiasi altro luogo – ma con sempre pieno accesso alle risorse aziendali necessarie per portare a termine i suoi compiti.

In altre parole, invece di recarsi ogni giorno in ufficio per lavorare dalla sua scrivania, un remote worker, cioè un lavoratore da remoto, può svolgere il proprio lavoro da qualsiasi luogo, purché disponga degli strumenti necessari per portare a termine i compiti che gli sono stati assegnati. In tal modo può progettare la sua giornata in modo che la vita professionale e quella personale possano essere vissute al massimo delle loro potenzialità e coesistere pacificamente.

Un dato interessante sul remote work emerge da uno studio condotto da Slack in cui si evidenzia che i lavoratori da remoto sono più soddisfatti del loro equilibrio tra lavoro e vita privata, rispetto a chi invece lavora in ufficio tutto il giorno.

Remote working e smart working sono la stessa cosa?

I due termini sono spesso confusi o usati in modo intercambiabile, ma c’è una differenza tra loro.

Remote working è un concetto generico di lavoro da remoto, che può essere svolto in maniera stabile, a intervalli regolari o saltuariamente.

Lo smart working, invece, è una modalità di lavoro definita dalla Legge 22 maggio 2017, n. 81 e si basa su tre principi: la possibilità di utilizzare strumenti tecnologicamente avanzati, l’impiego di modelli organizzativi flessibili e la promozione di un nuovo approccio che favorisca una maggiore autonomia, senza compromettere l’impegno, la qualità e l’efficienza del lavoro. Il dipendente può infatti svolgere la propria mansione in qualsiasi luogo e a qualsiasi orario, poiché ciò che conta non è il monte ore, bensì il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

In altre parole, lo smart working è un modello culturale che implica un cambio di mindset in termini di cultura organizzativa, gestione degli spazi di lavoro e rapporto tra datore di lavoro e dipendente, in cui la fiducia è fondamentale per il successo.

Ricapitolando, il remote working è semplicemente un modo per svolgere gli stessi compiti senza dover essere fisicamente presenti in ufficio, mentre l’obiettivo dello smart working è migliorare il work-life balance per consentire un uso più efficiente del tempo e delle risorse, una migliore collaborazione tra i team, una maggiore autonomia per il singolo dipendente e un più alto livello di soddisfazione sul lavoro.

Come garantire la protezione dei dati in remote working?

Il lavoro a distanza offre molti vantaggi individuali e organizzativi, ma aumenta anche gli sforzi per proteggere l’ambiente IT e le risorse di un’azienda. Fortunatamente, con gli strumenti e le best practice giuste, le aziende possono mantenere l’ambiente sicuro anche quando i dipendenti lavorano da casa o da altre postazioni remote. È importante ricordare che le violazioni dei dati e della privacy possono avere conseguenze devastanti, non solo in termini di perdite finanziarie, ma anche di danni alla reputazione.

In un recente articolo pubblicato sul portale ZeroUno, sono state affrontate le questioni relative alla protezione dei dati nel remote work, evidenziando che, secondo alcuni studi, la presenza di dipendenti che lavorano da casa fa aumentare la frequenza degli attacchi informatici del 238%.

Se pensiamo che il costo totale medio globale di una violazione dei dati, nel 2022, ha raggiunto i 4,35 milioni di dollari, è chiaro che adottare le misure adeguate per garantire la protezione dei dati da remoto è assolutamente indispensabile. Non va poi dimenticato che anche il GDPR, impone alle aziende di mantenere la sicurezza, l’integrità e la riservatezza delle informazioni per evitare rischi e sanzioni costose.

Le organizzazioni dovrebbero implementare le seguenti misure per proteggere i dati e la privacy nel remote working:

  • sviluppare una strategia di cyber security: il primo passo è delineare le politiche e le procedure che tutti i dipendenti devono seguire per la sicurezza dei dati. Queste dovrebbero includere l’uso dell’autenticazione a due fattori e di connessioni Internet sicure tramite VPN, backup regolari per il recupero dei dati in caso di perdite impreviste, aggiornamenti costanti dei sistemi per garantirne le prestazioni, la definizione delle modalità di raccolta, archiviazione e condivisione dei dati;
  • identificare le vulnerabilità e valutare i rischi: le aziende devono valutare la propria infrastruttura IT, identificare le potenziali vulnerabilità e minacce e sviluppare strategie di risk management per ridurre qualsiasi rischio potenziale. Tra i maggiori rischi del lavoro a distanza ci sono l’uso di password deboli, la diffusione del BYOD – acronimo di Bring Your Own Device – e l’evoluzione delle minacce informatiche, come phishing e malware;
  • applicare il modello Zero Trust Network Access (ZTNA): l’accesso alla rete a fiducia zero è un approccio alla sicurezza informatica che presuppone che qualsiasi utente, dispositivo o applicazione che tenti di accedere alle reti aziendali sia potenzialmente dannoso. Secondo l’approccio Zero Trust, tutto deve essere verificato e nulla può essere ritenuto automaticamente attendibile, perché la fiducia è considerata una vulnerabilità. Ciò significa che ogni singolo utente e dispositivo deve essere autenticato e le attività devono essere monitorate e registrate;
  • formare i dipendenti: l’errore umano è responsabile di una grande percentuale di violazioni dei dati. È quindi essenziale formare i dipendenti per ridurre al minimo l’incidenza di questo tipo di problemi. La formazione dovrebbe includere argomenti come la protezione dei dati, l’uso di reti sicure, le istruzioni per riconoscere e-mail phishing e tutti i dettagli sui metodi e i processi da seguire per riconoscere e segnalare qualsiasi attività sospetta.

Seguendo buone pratiche di sicurezza, le aziende possono proteggere adeguatamente dati e risorse anche quando i dipendenti lavorano da remoto.

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